Cosa vuol dire guarire?
Potrebbe essere tornare esattamente alla situazione precedente del corpo o della mente, dopo una malattia. Potrebbe. Se non fosse che nessun fiume inverte il proprio corso per tornare indietro nè ad inverno succede l' autunno precedente, in natura. Quello che è accaduto, è successo. Ogni resistenza al cambiamento è dispendio di energia e fonte di sofferenza. E dopo una malattia, sono diventato qualcosa d'altro. Accogliere questo richiede di andare oltre la paura. La comfort zone della sicurezza non è parte della natura, che invece è cambiamento continuo. La paura del nuovo spesso ci fa pagare un prezzo esorbitante, qualche volta velenoso; preferiamo rimanere in una situazione conosciuta, di lavoro, di sentimento, di famiglia che ci fa soffrire, piuttosto che "rischiare" di stare bene cambiando. La mente ci spinge verso un'impossibile salvezza data dalla sicurezza, dal risparmiarsi, dal preoccuparsi, dall'accumulare, illudendo di procrastinare all'infinito l'irrimediabile che teme: la morte. Ma la morte non è la fine. Non in Natura, dove ad una foglia morta segue sempre una foglia nuova, dove una morte crea lo spazio per una nascita. Non in Spirito, perchè in nessuna tradizione spirituale la morte è considerata angoscioso perdersi. Cosa sono ora, mentre la malattia mi cambia, manda all'aria ogni programma, ogni certezza? Sicuramente sono emozioni che mi attraversano. E allora è necessario farci un giro con la tristezza, la paura, la rabbia di chi vede il proprio corpo mutare per la malattia. Piangere, urlare sono passaggi che non dobbiamo farci mancare, se vogliamo riuscire ad andare oltre. Così come arrabbiarsi con una situazione famigliare che abbiamo dovuto subire da piccoli, indifesi e che ha indirizzato il corso di tutta la nostra esistenza successiva. Sentire la solitudine a cui ci ha condotto un abuso o anche solo un' insensibilità di chi avrebbe dovuto amarmi come figlio. Battere i pugni e gridare fino a vedere il proprio viso sfigurato allo specchio è quanto ci è dovuto all'inizio. Se non guardiamo in faccia le nostre emozioni, ci identifichiamo con esse. E allora ci convinciamo di essere i collerici senza speranza, i depressi senza speranza. Quello che è entrato deve uscire, perchè noi possiamo stare bene. Vale per il cibo, perchè nessuno può vivere senza evacuare. Vale per le emozioni che sono il cibo dell'anima. Arrivano per farci crescere, costringerci al cambiamento, ma se rimangono dentro imputridiscono, ci avvelenano. Poi, e solamente poi, quando abbiamo fatto "uscire", qualcosa cambia e ci possiamo concedere la possibilità del passo ulteriore. Poi possiamo concederci la possibilità di guardarci ed assumerci le nostre responsabilità. Siamo noi che abbiamo perpetuato comportamenti, atteggiamenti mentali, abitudini che ci hanno fatto male. Siamo stati noi che non ci siamo interrogati, non abbiamo ascoltato con attenzione il nostro corpo, che abbiamo fatto finta di niente perchè cambiare ci faceva paura. La responsabilità di chi non si è mai preso cura del proprio corpo ad esempio. O di chi non ha mai voluto chiedersi cosa ci fosse dietro una pulsione distruttiva, come la ludopatia, l'alcolismo o l'anoressia. Ed ha finito per identificarsi con esse. Arrivando a disprezzare il proprio corpo gonfio o emaciato. La proprio anima giudicata inguaribile. Guardarci non è giudicarci. Quando finalmente non ci identifichiamo più con rabbia, paura, tristezza, possiamo andare oltre il concetto di colpa. Ognuno di noi fa come può, come crede di saper fare. Spesso dietro un atteggiamento perseguito, c'è un atteggiamento subito, come nelle violenze domestiche. E noi facciamo ciò che ci hanno fatto, ciò che abbiamo visto fare, nella convinzione che non ci siano alternative. Alimentando circoli viziosi. Siamo creature. Spesso perpetuiamo situazioni che abbiamo vissuto da molto piccoli e che diventano il nostro "disco rotto", ad esempio nelle relazioni sentimentali. Chi ha percepito il vissuto dell'abbandono, continuerà a sentirsi abbandonato ed ad abbandonare. Chi non ha percepito accudimento, non saprà accudire o la farà in modo morboso, inquinando le proprie relazioni. Oppure non si prenderà cura di se stesso, considerandosi indegno. Ma che sentimento si può provare per una creatura? Compassione. Intesa come "mettersi nei panni di" per condividerne le emozioni ed i sentimenti. Compassione per il bimbo che ha "sentito" il giardino Interiore della propria anima minacciato, calpestato, abusato. La compassione va oltre al giudizio ed apre la porta al perdono. Perchè una creatura si perdona. Il bambino spaventato, arrabbiato che è dentro di noi si guarda con compassione ed amore e magari alla fine si riesce a perdonare. E poi, e solo poi, il bambino che è dentro nostro padre, nostra madre, nostro marito, il nostro vicino, il nostro collega. La dottssa Erica Poli spiega con cura in "Anatomia della Guarigione" cosa non sia perdonare. Perdonare non è dimenticare l'evento, ma solo il vissuto emotivo, che ci riporta al nostro copione emotivo, all' irrisolto emozionale. Al "disco rotto" che si perpetua in atteggiamenti che ci negano il benessere. Perdonare non è scusare. Contatta la tua ferita e falla parlare, prima di perdonare. Non è necessariamente riconciliarsi. A volte semplicemente una dinamica relazionale si è esaurita e come tale si accoglie. E' ciò che accade verso chi è deceduto ad esempio. Non è negare i propri diritti legali, in caso di violenze subite per esempio. Non è volere che l altro cambi. Ma liberare se stessi dal bisogno che l'altro cambi. Non è lasciare immediatamente la collera. Ma concedersi il tempo affinchè le emozioni sedimentino. Perdonare è esercitare un enorme potere personale che avevamo demandato ad altri od a un noi stesso bambino inconsapevole, spaventato, arrabbiato. Perdonare è riprendere in mano la responsabilità della propria vita. Perdonare è Guarire. Di una guarigione che non è tornare come prima, ma essere più adulti, consapevoli di noi stessi, di chi siamo. Ogni condizione ammette un opposto. Perdonare è oltre la felicità che contempla la possibilità di infelicità. Perdonare è Beatitudine che non ha contrario. Perdonare è "donare" libertà a se stesso, passando "per" una lettura consapevole del proprio vissuto. E allora, per parafrasare Thich Nhat Hanh, possiamo essere in Pace in tutti gli istanti, ma cominciando da proprio Ora.
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E' Tempo per...Cose da Dire Archivi
January 2025
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